carmelo.bajamonte@gmail.com
Aggiunte per la sella del Viceré Colonna*
DOI: 10.7431/RIV08012013
Spesso è stata evidenziata l’importanza dei documenti d’archivio per lo studio della storia dell’arte, fin dal rinnovamento che concerné la disciplina nell’ambito della Kunstwissenschaft della fine del XIX secolo, sia in paesi di lingua tedesca sia in Italia grazie alla lezione di Adolfo Venturi; la verifica storico-documentaria e archivistica ha fornito sostegni alla lettura dell’opera d’arte, nell’analisi dello stile e della forma propria della pratica attribuzionistica, e ha illuminato i contesti geografici, storici e culturali delle opere, i problemi legati alla conservazione o i processi di musealizzazione dell’oggetto artistico.
A tal riguardo, le indagini sul fondo della Direzione generale delle antichità e belle arti dell’Archivio Centrale dello Stato –che custodisce buona parte della documentazione tecnica sulle politiche di gestione del patrimonio artistico, prodotta da istituti periferici in contatto con il ministero romano1– non di rado hanno aiutato l’orientamento di ricerche preziose per una nuova comprensione di fatti e situazioni.
I documenti consultati in quest’occasione2, nel fondo comunemente noto come primo versamento (con carte che interessano all’incirca il trentennio seguito all’Unificazione), consentono di aggiungere qualche dato nuovo sulla sella del viceré Juan Fernandez de Pacheco, marchese di Villena, sella che,come avremo modo di vedere meglio più avanti, oggi si ritiene sia stata realizzata per un altro viceré di Sicilia, Marcantonio Colonna3.
Si tratta di un corredo composto di vari finimenti d’argento sbalzato, smalti e una lussuosa gualdrappa ricamata, con ben definite coordinate geografiche e cronologiche da riportare a una manifattura palermitana della seconda metà del XVI secolo (Figg. 1 – 2 – 3 – 4). Opera importante anche per il livello qualitativo dell’elaborata lavorazione, memore delle raffinate produzioni del tiraz normanno, che unì placchette smaltate dai linearismi geometrici di gusto arabeggiante, cuoi trapunti, argenti sbalzati con soggetti marini e ricami di perle.
I resoconti storici su Marcantonio Colonna confermano lo sfarzo delle arti suntuarie nella vita pubblica del personaggio4, dove anche la bardatura giocava un ruolo fondamentale nella spettacolarizzazione del potere vicereale nella Sicilia spagnola e in cerimonie cavalleresche, come il trionfo solenne messo in scena a Palermo nell’aprile del 1577, ideato dal poeta di corte Antonio Veneziano in onore dell’entrata in città del gran protagonista della battaglia di Lepanto contro i Turchi, nominato viceré da Filippo II (1577-1584)5.
I documenti
Le carte individuate nell’Archivio Centrale dello Stato datano dal dicembre 1873: sono dunque i primissimi documenti dell’attività di Antonino Salinas, all’indomani della prolusione del 16 novembre6 che, inaugurando l’anno accademico della R. Università, ne annunciava l’insediamento alla direzione del Museo Nazionale di Palermo in quanto professore di archeologia7.
Sono documenti cospicui, perché tracciano la linea di pensiero e di lavoro di un funzionario molto determinato a dar voce e autorevolezza al soggetto giuridico del museo, per il quale ora intendeva rivendicare ciò che, in un passato recente, era andato disperso o alienato alla Sicilia a favore dei Borbone di Napoli. Le iniziative prese dall’infaticabile direttore all’interno della logica della riorganizzazione postunitaria di un museo statale–con l’appoggio di Giuseppe Fiorelli, a capo della Direzione generale dei Musei, e in pieno accordo con un interlocutore privilegiato, il senatore Michele Amari, con il quale manteneva costante il rapporto epistolare – obbediscono, come mi è capitato di scrivere anche in altra sede8, all’esigenza perseguita senza sosta di incrementare le dotazioni dell’istituto.
È stato l’archeologo Biagio Pace, allievo di Salinas,a considerare questo pragmatismo sul piano amministrativo: «fu provvidenziale l’essersi trovato alla direzione del Museo un così ardente ed oculato raccoglitore in un periodo, ormai finito, in cui v’era ancora da raccogliere a piene mani. Se il Salinas si fosse esclusivamente sollazzato – come a tanti avveniva – in esposizioni ordinate con scrupolo cronologico e con ossequio alle ragioni dell’arte e della storia o avesse vegliato le sue notti soltanto su problemi astratti della scienza il nostro Museo e l’Italia avrebbero irreparabilmente perduto tesori inestimabili»9.
Una delle prime carte da giocare fu la sella vicereale, per Salinas esempio di prestigio di quel ‘genio proprio’ dell’arte della Sicilia, adeguato a illustrare coerentemente la ‘mirabile diversità’ della storia all’interno del museo che ambiva costruire con tali presupposti: «le arti di Sicilia hanno l’impronta di un genio proprio, dovuto alla singolare natura di questa terra e di questo cielo, e alle sorti singolari de’ tanti popoli che lasciarono nell’Isola le vestigia di lor dimora. Questa impronta, direi così locale, ha da essere manifestata nel Museo Palermitano […]»10.
Nel dicembre 1873, dunque,il direttore indirizzava al ministro della Pubblica Istruzione Antonio Scialoja la sua richiesta inerente alla sella: «Intendendo con tutte le mie forze ad arricchire questo Museo palermitano, stimo esser mio stretto obbligo il rivolgere l’attenzione dell’E.V. su di un insigne opera d’arte, che fu per più di due secoli in Palermo, e poi ci fu tolta in modo che ancora offende questa cittadinanza»11.
Nel medesimo luogo Salinas ricordava al ministro anche l’aneddoto storico secondo cui nel 1609 Fernandez Pacheco de Acuna, duca d’Ascalona e marchese di Villena, viceré di Filippo III di Spagna, «a redimere dalla schiavitù de’ barbareschi un suo figliuolo naturale», aveva ‘tolto in prestito’ dal banco municipale di Palermo una somma «cautelata col deposito di molti oggetti preziosi, fra cui un fornimento di cavallo / opera del cinquecento / il quale, poiché il Villena pagò parte del suo debito, restò solo a garentire il Senato palermitano del rimanente ragguardevole credito di dodicimila scudi. Questo capo lavoro di arte condotto in parte di ricami di perle e di laminette dorate su velluto cremisi, e in parte di argento massiccio dorato, stette sino al 1858 nel palagio municipale di Palermo; quando la servilità di alcuni volle che si mandasse a Napoli in dono a Re Ferdinando Borbone»12.
Con il conveniente appiglio di un cavillo legale – secondo cui il Municipio di Palermo non avrebbe mai potuto donare ciò che effettivamente non era di sua proprietà – Salinas rimarcava «come non sia convenevole che un dono tanto ingiusto, testimone di viltà e di miseria, adorni un palagio del Re da noi eletto per riparare appunto alle antiche ignominie»13.
Già in una lettera ad Amari dell’ottobre del 1873 Salinas aveva denunciato lo ‘scippo’subito, manifestando al ministro il bisogno di un appoggio politico per le iniziative future: «Ella si ricorderà della bellissima sella pignorata nel 1608 dal Marchese di Villena per dodicimila scudi. Nel 1858 il pretore principe di Galati, con l’ajuto del braccio poliziesco, persuase i decurioni a regalare il pegno alla cara Maestà di Ferd. II. Quel capolavoro del cinquecento, più o meno spoglio delle pietre preziose ond’era arricchito, si conserva nella Reggia di Capodimonte; ma è decoroso che Vittorio Eman. profitti in certa guisa de’ furti maniscalchiani? Il Museo di Pal. non sarebbe luogo più conveniente a conservare quella proprietà dei Palermitani? Ella potrebbe indicarci la via per giungere ad ottenere un atto di giustizia».14.
Per tornare alle carte d’archivio, il direttore – richiamando alla memoria del ministro un utile precedente: «altra volta cotesto Ministero ottenne che dalla Reggia di Palermo fosse, pel bene dello studio, ceduto a questo Museo uno de’ più celebri bronzi antichi, l’Ariete siracusano»15 – rafforzava la posizione del museo appoggiandosi alla benemerita Commissione di Antichità e Belle Arti di Palermo16, che nel gennaio dell’anno seguente inoltrava un’identica domanda alla Minerva.
E però le speranze furono presto frustrate, quando agli inizi di aprile del 74 giunse da Roma una relazione di tono tutt’altro che remissivo firmata dal consulente legale del ministero della Pubblica Istruzione, Giuseppe Perona, che affermava: «A dir vero non saprebbesi comprendere l’opportunità di distogliere a favore d’altro Museo un capo d’Arte pregevole a scapito di una raccolta di oggetti d’Arte che costò alla R. Casa molte cure e spese per riordinarlo in modo dicevole, come costa tuttavia non lieve spesa per il decoroso suo mantenimento»17.
In questo passaggio Perona allude verisimilmente all’attività che in quegli anni Annibale Sacco, direttore della Real Casa, prodigava per il riordinamento delle collezioni del Museo di Capodimonte e per l’incremento e la conservazione di quell’enorme patrimonio artistico18; tant’è che faceva notare a Salinas come la restituzione avrebbe potuto creare un precedente per proposte future e scatenare quasi una forza centrifuga e distruttiva per l’unità dei beni artistici di casa Savoia: «l’oggetto in discorso fu in dipendenza di legge assegnato in dotazione alla Corona e figura fra gli altri doni già offerti dalla cessata Dinastia sia dal Municipio di Napoli che da varii altri: – non saprebbe il sottoscritto a quali risultanze condurrebbe questo precedente»19.
Sebbene manchino altre testimonianze documentali esplicite, dovranno trascorrere alcuni anni prima che a Salinas riuscisse l’intento. Francesco Lanza principe di Scalea, direttore del R. Commissariato degli Scavi e dei Musei di Sicilia, diffonderà notizia della restituzione della sella sul “Giornale di Sicilia” soltanto nel marzo del 1876, dopo aver ricevuto la comunicazione favorevole da parte del segretario particolare di Vittorio Emanuele II Giovanni Natale Aghemo20.L’oggetto fu quindi consegnato dal commissario del Palazzo Reale di Napoli al marchese Spinola, direttore della R. Casa di Palermo, e da questi a Lanza di Scalea che il 12 marzo l’affidò al direttore e al conservatore del R. Museo, Giuseppe Fazio21.
Tale operazione è effettuata seguendo la descrizione nell’inventario steso nel 1865 dal custode della reggia di Capodimonte, Felice Ballerini, al momento dell’arrivo della sella a Napoli. L’inventario22, oltre al dettagliato elenco delle parti che componevano la bardatura vicereale, ne indica i materiali impiegati, secondo l’esame del perito Gaspare De Angelis;vi si annota pure lo stato di conservazione a quella data e si fa cenno alle lacune, con ricami, perle e smalti «mancanti da tempi immemorabili».
Altra linea ben demarcata che contraddistinse l’attività di Antonino Salinas è la cultura della tutela, informata su opportuni principi ispiratori23 con solidi addentellati alle moderne riflessioni metodologiche del restauro e della conservazione. Anche il secondo documento ritrovato, con data 19 ottobre 1892, conclama questa sensibilità del direttore del museo palermitano. La relazione che Salinas inviava a Roma, in cui chiedeva al ministro di stanziare le somme necessarie per un «pronto riparo»dell’oggetto degradato, rivela che a essere più compromessa era la gualdrappa (Fig. 5) di cui si elencavano i guasti: «il drappo ricamato è in molte parti tarlato e i fili che trattengono la serie delle piccole perle sono quasi tutti sdruciti, sicché le perle si trovano o perdute o scomposte e in atto di cadere»24.
Nella comunicazione Salinas mostra di aver già individuato la ‘mano’ adatta, scrivendo di voler allogare l’intervento di restauro «assai minuto e delicato», con una spesa preventiva di 300 lire, a Maria Provvidenza Carta, forse moglie del custode del museo Pietro Carta. Maria Provvidenza e Pietro Carta sono ancora poco noti in quest’ambito di studi ma, evidentemente, ci troviamo di fronte a due figure specializzate nel restauro dei tessili, perché sappiamo che Salinas si era già avvalso dell’operato di Pietro per avergli affidato, nel giugno 1878, lavori di restauro consistenti in rammendi e contro-telatura dell’arazzo di Pietro Duranti raffigurante Rebecca ricevuta da Abramo, e di un altro ricamo su seta, donati entrambi al museo dalla marchesa di Torrearsa nel 187525.
Resta da dire che, dopo essere stati sottoposti al restauro, i finimenti furono messi in mostra dapprima nella cosiddetta Galleria del Medio evo (Fig. 6) al primo piano del museo all’Olivella26,per poi esser spostati all’interno di una vetrina nella seconda sala,apposta allestita per stoffe, ricami e merletti. La scelta di dare risalto ai pezzi con‘due asterischi’, posti in vetrine isolate nell’allestimento generale, ricorrerà frequentemente nella pratica museale di Salinas, secondo un modo di comunicazione adottato nella medesima sala anche per il quattrocentesco Piviale di Sisto IV27.
Come confermano le carte d’archivio28, proprio per presentare in maniera adeguata l’ingente materiale a sua disposizione, Salinas fece eseguire o acquistò a più riprese vetrine, bacheche, armadi a vetri in cui poter isolare l’oggetto raro e garantirne un miglior godimento, a vantaggio della protezione di materiali fragili quali tessuti, coralli, filigrane e mirabilia da Wunderkammer.
Per la sua eccezionalità, l’opera diviene un vero e proprio topos del museo nei resoconti dei viaggiatori29 e nelle guide turistiche; anche un paragrafo di Il“Cicerone” per la Sicilia di Sebastiano Agati (1907)restituisce in maniera precisa l’assetto della sala, in cui fra altri paramenti è menzionato il «fornimento di cavallo […] di fabbrica spagnuola del sec. XVI, ma risente in molte parti dell’arte orientale»30.
Gli studi
Uno dei primi studi dedicati alla sella è pubblicato da Maria Accascina nel 1931, quando ormai la rivalutazione delle arti applicate ha prodotto una messe di scritti di notevole importanza31. Giusto fra la fine del XIX secolo e il primo ventennio del Novecento sono pubblicate anche le prime riviste specialistiche:il mensile “Arte italiana decorativa e industriale” in Italia (1890-1911), “The Studio” in Inghilterra (dal 1893), “Artet Décoration” in Francia (dal 1897) e altre ancora con taglio più o meno monografico.
Ai lettori di una di queste riviste – “International Studio” stampata a New York dal 1897 e associata al magazine “The Connoisseur” (Fig. 7) –è proposto The Saddle of the Viceroy of Sicilyillustrato da immagini bianco e nero32 (Figg. 8 – 9). Nella bibliografia generale della studiosa l’articolo è preceduto da altri affondi sulle arti decorative33,incubati in quel lavoro seminale che è L’Oreficeria in Sicilia dal XII al XV secolo, tesi della Scuola di specializzazione in Storia dell’arte medievale e moderna di Roma, dove conseguì il diploma nel 1927 con Adolfo Venturi34.
Val la pena ricordare che sono gli anni in cui la storica dell’arte è impegnata nel riordinamento museografico del Museo Nazionale di Palermo35, volto a una razionalizzazione dell’allestimento ipertrofico sedimentatosi durante la direzione di Salinas, e a promuovere gli studi d’arte decorativa in Sicilia36.
L’Accascina scorge la raffinata cifra dell’opera, il virtuosismo delle tecniche, la stupefacente sontuosità, anche cromatica,‘protobarocca’: «Nonostante le grandi perle orientali che decoravano il velluto e le numerose laminette smaltate siano andate perdute, la sella non ha perso il suo sontuoso splendore e la straordinaria ricchezza. Sellai esperti, i migliori sarti, abili orefici e smaltatori hanno unito il loro talento per produrre questo capolavoro di arte decorativa. Ogni dettaglio è stato curato con una perfezione impossibile da superare, e il colore del velluto, la vivacità degli smalti, lo splendore dell’oro e la limpidezza delle perle conferiscono alla sella una bellezza di coloritura affascinante e magnifica. La gualdrappa è in velluto rosso cremisi ricamato in oro. Il ricamo, realizzato con trapunta per dare un maggiore rilievo, segue un modello arabo. La trama del ricamo varia: lavorato, ora in filo d’oro ora in cordoncini d’oro, in modo da variare incessantemente la superficie, il risultato è una lucentezza aurea, a volte lucida e brillante ora opaca e variegata con un chiaroscuro metallico. Il ricamo è interrotto qua e là da gruppi di piccole perle e più di frequente da piccole lamine smaltate. Su queste scaglie dorate sui più limpidi toni di smalto rosso e verde sono degli uccelli rifiniti in innumerevoli e aggraziati atteggiamenti. Le piastre sono piccolissime e gli orefici mostrano la mano di un miniaturista nella disposizione rapida, sicura ed elegante del disegno e la sensibilità di perfetti smaltatori nella gradazione dei suoi colori»37.
Il che porta in primo piano il discorso sulle influenze ispano-moreschee sui nuovi innesti dalla scultura siciliana e dal Cinquecento toscano: «gli elementi decorativi sono come quelli che troviamo in Cellini, e lo schema è senza dubbio derivato dal lavoro della tradizione degli orafi toscani […]. Quest’oggetto meraviglioso deve essere considerato senza dubbio uno dei capolavori dell’oreficeria e dell’arte tessile ispano-moresche e al contempo molto importante per lo studio delle arti decorative siciliane, poiché tali erano gli esempi che il gusto spagnolo promuoveva nel Rinascimento siciliano, un’influenza che incontriamo in numerose opere e che favorì, in particolare, le precoci tendenze barocche dell’arte decorativa siciliana»38.
La lettura stilistica, tenendo saldo il dato dell’eterogeneità delle tecniche artistiche, rileva il problema della cronologia dell’opera alla luce di quella singolare congiuntura fra culture diverse in ambito siciliano e l’evolversi della forma fra elementi della tradizione e novità continentali: «probabilmente la sella fu eseguita in una bottega ispano-moresca nel XV o inizio del XVI secolo, il pettorale fu realizzato senza dubbio in data successiva, quando l’influenza del Rinascimento toscano si fece sentire nel lavoro dei “plateroi” spagnoli. Oppure questo pezzo fu fatto in Sicilia da artigiani a conoscenza dei metodi e degli sviluppi stilistici dell’Italia centrale»39.
Maria Accascina tornerà a scrivere della sella in Oreficeria di Sicilia,vera pietra miliare per questa materia; l’opera è qui considerata una «antologia decorativa con motivi geometrici di derivazione araba con altri di derivazione lombarda, con altri tipicamente siciliani nel ricamo in oro inframmezzato da perle e smalti»40, e frutto di un lavoro di équipe di «diversi e bravi artigiani», Giovanni di Adria, Vincenzo Mellori, Nicolò Carnisicca, Simone di Giancarlo.
Anche Angela Griseri ha dato rilievo al ruolo che la committenza spagnola imprime nel XVI secolo alle arti preziose siciliane, caratterizzate da un gusto per manufatti rari e tecnicamente elaborati: «I viceré spagnoli sostenevano, a Palermo, le botteghe artistiche che dovevano fornire oggetti per la corte di Madrid e per le Fiandre: di qui la necessità di moltiplicare le varianti dei modelli che avevano ottenuto con la loro qualità largo consenso affermandosi come vero e proprio status-symbol. Tra questi la specialità dei “guarnimenti” in oro e argento per selle, staffe, speroni e gualdrappe, realizzati da un’équipe di artigiani, come avviene per la sella appartenuta a Don Juan Fernández de Pacheco, viceré di Sicilia»41.
In occasione della mostra Ori e Argenti di Sicilia ospitata a Trapani nel 1989, Elvira D’Amico ha accostato la sella a un altro viceré di Sicilia, Marcantonio Colonna, che vi comparirebbe ritratto con l’emblema araldico della colonna nel medaglione centrale del pettorale in argento dorato (Fig. 10). Nella scheda del catalogo della mostra42 si avanza pertanto l’ipotesi che i finimenti siano stati un munifico dono del Senato palermitano al vincitore di Lepanto per il suo ingresso in Palermo nel 1577 come dianzi s’è visto. L’opera, passata al marchese di Villena, sarebbe stata rimaneggiata con l’aggiunta di cinque placche in argento smaltato recanti lo scudo inquartato di quel viceré e versetti encomiastici in spagnolo (Figg. 11 e 12). La studiosa,inoltre, accredita l’influenza dall’area iberica: «l’estrema ricchezza decorativa, il senso festoso del colore, la predilezione per la tecnica della smaltatura, comuni anche ai finimenti, inseriscono il complesso dell’opera nell’ambito della più raffinata produzione artigianale locale di stretta derivazione iberica»43.
Dello stesso avviso Maria Concetta Di Natale che, più recentemente, ha scritto che la sella di palazzo Abatellis, palinsesto di complessa cultura artistica, «potrebbe essere già realizzata per il viceré Marco Antonio Colonna nel 1577 e poi riutilizzata con ulteriori abbellimenti, aggiunte e sostituzioni per il viceré Don Juan Fernandez di Paceco, marchese di Villena, duca di Scalona»44.
Appendice45
[…] Descrizione della Bardatura del Viceré Fernando Pacheco Marchese di Villena secondo l’inventario del R. Palazzo di Napoli.
Detta Bardatura giusta il foglio dell’Archivio centrale di Palermo Domenico Naselli, firmato e vistato dal Pretore P. Galati, si compone dei varî seguenti pezzi.
Una gualdrappa di velluto cremisino ricamata in oro e tempestata di perle.
Sette fiocchi di seta color cremisino con fili d’oro agli estremi.
Un paio di staffe in argento dorato e smaltato.
Un paio di speroni di argento dorato e smaltato.
Una codiera di pelle ricamata in oro con scorridori di argento dorato e smaltato.
Un pettorale d’argento con piastra e due campanelli di argento dorato.
Una testiera di argento dorato con scorridori anche dorati e smaltati.
Più un cono dorato a completare la testiera.
Cinque scudi d’argento con armi smaltate.
Un gallone di seta ricamato in oro con fiocco di seta e fili d’oro e d’argento.
Pervenuta in Napoli la suddetta Bardatura prima di consegnarsi al Sig. Direttore della R. Armeria privata il 24 Novembre 1858 dallo incaricato Sig. Ferdinando Sevans, furono fatte le seguenti osservazioni, cioè di essersi trovati mancanti i sotto notati oggetti, ciò perché mancanti da tempi immemorabili.
Dieci vignette figuranti varie incisioni d’argento smaltate.
L’intiero numero di perle orientali grandi ornamento del campo ricamato di detta gualdrappa; alquante perle piccole orientali intrecciate nel ricamo di detta gualdrappa.
L’armatura in seta di due fiocchi che adornano la staffa.
Tre pezzi di smalto che porterebbero il completo del frontale della testiera, nonché di un altro che attacca col morso.
Ai due fiocchi che pendono dai due nastri della testiera in uno manca l’intero addrezzo di smalto, nell’altro due perni solamente.
Dei cinque stemmi ove stanno scolpite le armi, se ne rinvengono tre, cioè due con un pezzo di adornamento mancante per uno e l’altro di due a completare il finimento.
Nello sperone di dritta vi sono mento tre pezzi di smalto e tra gli esistenti, uno esmaltato e con poco argento mancante.
Le staffe complete, ma una poco curvata.
Al presente si è verificato dal Perito Sig. Gaspare De Angelis che tutto il ricamo è di argento dorato, le staffe sono di ferro con fogli di argento dorato ed i soli speroni sono di ferro, il rimanente è d’argento dorato.
Capodimonte 30 Maggio 1865
Firmato Felice Ballerini
* L’autore è grato a Enzo Brai che con la consueta disponibilità ha fornito le fotografie del proprio archivio.
- Per queste prospettive di ricerca documentaria vedi l’Archivio della Direzione generale delle antichità e belle arti (1860-1890). Inventario, I, a cura di M. MUSACCHIO, Roma 1994, in particolare per la situazione siciliana pp. 55-57.
I documenti fanno parte dell’incartamento che di consueto era prodotto in più copie da uffici statali in relazione tra loro. Una parte della documentazione restò a Palermo, al Commissariato degli Scavi e Musei e al R. Museo, mentre una terza fu inviata a Roma al Ministero della Pubblica Istruzione. Oltre quelli ‘romani’, ho potuto leggere i documenti dell’Archivio della Soprintendenza di Palermo (Museo Nazionale 1872-1885. Doni, busta nn.), mentre non mi è stato possibile accedere alla documentazione di pertinenza del Museo Nazionale custodita nell’archivio del Museo archeologico regionale di Palermo, attualmente chiuso per lavori di restauro. [↩] - I documenti fanno parte dell’incartamento che di consueto era prodotto in più copie da uffici statali in relazione tra loro. Una parte della documentazione restò a Palermo, al Commissariato degli Scavi e Musei e al R. Museo, mentre una terza fu inviata a Roma al Ministero della Pubblica Istruzione. Oltre quelli ‘romani’, ho potuto leggere i documenti dell’Archivio della Soprintendenza di Palermo (Museo Nazionale 1872-1885. Doni, busta nn.), mentre non mi è stato possibile accedere alla documentazione di pertinenza del Museo Nazionale custodita nell’archivio del Museo archeologico regionale di Palermo, attualmente chiuso per lavori di restauro. [↩]
- Oggi nei depositi della Galleria Interdisciplinare Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis (inv. n. 8226). [↩]
- A. GUGLIELMOTTI, Marcantonio Colonna alla battaglia di Lepanto, Firenze 1862, p. 267 riporta le notizie dell’entrata a Roma nel dicembre del 1571, in cui ‘l’eccellentissimo signor Marc’Antonio Colonna’:«Avea sella ricoperta di tocca d’oro, gualdrappa di seta porporina, trapunta di passamani e frangette ad oro; il pettorale, il morso, le briglie ricoperte e sfioccate a porpora e ad oro. Aveva in piè stivaletti bianchi, incerati a lustro; calze cangianti di rosso e di giallo, brache rigonfie alla spagnuola a molti listoni di teletta d’argento e di seta morella, giubba di tocca d’oro, cappa di seta nera trinata ad oro e soppannata di pelli zibelline, cappello di velluto nero, e la piuma bianca affibbiata a un gran bottone di perle ricchissimo». [↩]
- Sul tema rinvio a M. L. MADONNA, Le feste per Marcantonio Colonna e la Porta Nuova come apparato trionfale, in M. Fagiolo – M. L. Madonna, Il Teatro del Sole. La rifondazione di Palermo nel Cinquecento e l’idea della città barocca, Roma 1981, pp. 126-133; F. BENIGNO, Leggere il cerimoniale nella Sicilia spagnola, in “Mediterranea. Ricerche storiche”, a. 5, n. 12, aprile 2008, pp. 133-148.
A. SALINAS, Del Museo Nazionale di Palermo e del suo avvenire. Prolusione universitaria pronunziata il 16 novembre 1873, Palermo 1874. Per Salinas (1841-1914) si veda V. TUSA, Antonino Salinas nella cultura palermitana, in “Archivio Storico Siciliano”, serie IV, vol. IV, 1978, pp. 429-444. [↩] - A. SALINAS, Del Museo Nazionale di Palermo e del suo avvenire. Prolusione universitaria pronunziata il 16 novembre 1873, Palermo 1874. Per Salinas (1841-1914) si veda V. TUSA, Antonino Salinas nella cultura palermitana, in “Archivio Storico Siciliano”, serie IV, vol. IV, 1978, pp. 429-444. [↩]
- Il regio decreto del 3 agosto 1873 aboliva il posto di direttore della pinacoteca e del museo di Palermo e dava incarico all’ordinario di archeologia della R. Università della direzione dell’istituto; che in questo modo ritornava di stretta pertinenza universitaria, dopo la direzione del cavaliere Giovanni D’Ondes Reggio e la reggenza del cavaliere Giovanni Fraccia (dal maggio 1867) sotto la tutela della Commissione di Antichità e Belle Arti. Per le pratiche legate alla gestione del museo e della pinacoteca negli anni immediatamente postunitari si rinvia a G. LO IACONO – C. MARCONI, L’attività della Commissione di Antichità e Belle Arti in Sicilia. Parte IV. Verbali delle Riunioni della Commissione, Anni 1861-1863, “Quaderni del Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas”, Supplemento, 2002; C. MARCONI, L’attività della Commissione di Antichità e Belle Arti in Sicilia. Parte V.Verbali delle Riunioni della Commissione, Anni 1863-1871, “Quaderni del Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas”, Supplemento, 2004. [↩]
- C. BAJAMONTE, Storiografia artistica in Sicilia negli anni di Malaguzzi Valeri con aggiunte su Antonino Salinas e il Museo di Palermo, in Francesco Malaguzzi Valeri (1867-1928). Gli ultimi bagliori della Kulturgeschichte tra Italia ed Europa, atti del convegno (Milano, 19 ottobre – Bologna, 20-21 ottobre 2011), a cura di G. C. Sciolla – A. Rovetta, in c. di st. [↩]
- Cfr. B. PACE, Le nuove sezioni del Museo di Palermo, in “Giornale di Sicilia”, a. LXII, n. 154, 30 giugno–1 luglio 1922. Così Pace liberava da ogni riserva il giudizio di Paolo Orsi: «in cima ai suoi pensieri culmina sempre quello di salvare dalla perdita i documenti della storia artistica della sua isola. Con nobile sacrifizio Egli forse rinunziò all’altissima fama di scienziato, cui avrebbe potuto a buon diritto aspirare, pur di assicurare alla sua terra diletta il prezioso archivio dei suoi ricordi artistici». P. ORSI, Antonino Salinas, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, a. XII, fasc. I-II, 1915, p. 9. [↩]
- A. SALINAS, Del Museo Nazionale di Palermo…, 1874, p. 15. Si veda in proposito S. DE VIDO, Antonino Salinas: il museo come «scuola» e il «genio proprio» delle arti di Sicilia, in L’archeologia italiana dall’Unità al Novecento, a cura di S. Settis, in “Ricerche di Storia dell’arte”, XVIII, 50, 1993, pp. 17-26. [↩]
- Archivio Centrale dello Stato, Direzione Generale Antichità e Belle Arti, 1860-1890, Divisione II, [poi ACS, Dir. Gen. aa.bb.aa., Div. II] Busta 284, fasc. 150-2. [↩]
- Ibidem. L’aneddoto è riportato anche in G. E. DI BLASI, Storia cronologica dei viceré luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, Palermo 1842, p. 280, nota 2. [↩]
- ACS, Dir. Gen. aa.bb.aa., Div. II, Busta 284, fasc. 150-2. Antonino Salinas prosegue: «Trattandosi di memorie molto recenti, sarebbe troppo doloroso il ricordare con quali prepotenze di polizia si costrinsero i reluttanti Decurioni a dare il loro voto; il dono partì, ed è ancora depositato nella Reggia di Capo di Monte». [↩]
- Cfr. Lettere di Antonino Salinas a Michele Amari, a cura di G. CIMINO, Palermo 1985, p. 85; vedi anche p. 109.
ACS, Dir. Gen. aa.bb.aa., Div. II, Busta 284, fasc. 150-2. Si allude alla devoluzione di oggetti esistenti nel Palazzo Reale di Palermo voluta dalla R. Casa nel 1863. A. SALINAS, Del Real Museo di Palermo. Relazione, Palermo 1873, p. 41. [↩] - ACS, Dir. Gen. aa.bb.aa., Div. II, Busta 284, fasc. 150-2. Si allude alla devoluzione di oggetti esistenti nel Palazzo Reale di Palermo voluta dalla R. Casa nel 1863. A. SALINAS, Del Real Museo di Palermo. Relazione, Palermo 1873, p. 41. [↩]
- La Commissione borbonica fu una delle poche in Italia a sopravvivere al nuovo stato unitario e a continuare la propria attività fino allo scioglimento nel 1875, quando sono istituiti i R. Commissariati per gli Scavi e per i Musei della Sicilia sotto la dipendenza del Ministero della Pubblica Istruzione. Un bilancio positivo dell’attività della Commissione è in F. S. CAVALLARI, Relazione sullo stato delle antichità di Sicilia, sulle scoverte e sui ristauri fatti dal 1860 al 1872, Palermo 1872. [↩]
- ACS, Dir. Gen. aa.bb.aa., Div. II, Busta 284, fasc. 150-2 [↩]
- M. PICONE PETRUSA, Annibale Sacco e la formazione delle collezioni moderne del Museo di Capodimonte, in Scritti in ricordo di Giovanni Previtali, “Prospettiva”, nn. 57-60, aprile 1989 – ottobre 1990, vol. II, pp. 392-400. [↩]
- ACS, Dir. Gen. aa.bb.aa., Div. II, Busta 284, fasc. 150-2. [↩]
- La sella del viceré Villena restituita al Museo, in “Giornale di Sicilia officiale per gli atti governativi, amministrativi e giudiziari”, a. XIV, n. 52, 4 marzo 1876, p. 2; vedi anche La sella del viceré Villena, in “Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia”, n. 56, 8 marzo 1876, p. 931. [↩]
- ACS, Dir. Gen. aa.bb.aa., Div. II, Busta 287, fasc. 152-102-12. [↩]
- L’inventario è trascritto integralmente in Appendice. [↩]
- «I ristauri adunque non saranno più condotti coicriterj seguiti da’ dilettanti o da’ commercianti; si avrà cura anzitutto di conservare le opere d’arte e di togliervi quanto vi fosse stato aggiunto poco accortamente, o quanto di bruttura vi si fosse depositato in modo da impedirne la vista; e ove taluna piccola mancanza disturbasse l’effetto generale di un dipinto o di una statua, vi si supplirà quella sola mancanza, senza che la mano moderna invada sacrilegalmente le parti antiche». A. SALINAS, Del Museo Nazionale di Palermo…, 1874, p. 27. Per il quadro più generale rinvio a M. GUTTILLA, Teorie e metodi della conservazione e del restauro nelle arti decorative, in Splendori di Sicilia. Arti Decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra (Palermo, 10 dicembre 2000 – 30 aprile 2001), a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, pp. 278-291. [↩]
- ACS, Dir. Gen. aa.bb.aa., Div. II, Busta 284, fasc. 149-64. Il restauro è approvato da Francesco Romanelli il 27 ottobre 1892. [↩]
- ACS, Dir. Gen. aa.bb.aa., Div. II, Busta 287, fasc. 152-104-7. Pietro Carta avanzò un preventivo di spesa di 382 lire approvato dal Ministero competente. Dopo il restauro i due tessuti furono esposti nella Sala Serradifalco. Per l’arazzo con Rebecca ricevuta da Abramo vedi M. G. MAZZOLA, La Collezione della Marchesa di Torrearsa, Palermo 1993, pp. 122-124. [↩]
- In A. SALINAS, Guida popolare del Museo Nazionale di Palermo, Palermo 1882, pp. 31-32; l’opera – contrassegnata da due asterischi, con i quali sono distinti gli oggetti ‘di un valore eccezionale’ – è così descritta: «Fornimento di cavallo del viceré marchese di Villena, G. F. Pacheco, donato da re Vittorio Emmanuele nel 1876. Questa opera d’arte ricca di smalti, di ricami e di lavoro a sbalzo, è di fabbrica spagnuola del secolo XVI, ma in molte parti manifesta un carattere orientale. Ad essa si legano curiose memorie, essendo che fu pignorata al banco Municipale, quando nel 1609 il Villena ebbe bisogno di una grossa somma di danaro per riscattare un suo figliolo fatto schiavo dai Turchi, e il pegno rimase sino ai nostri giorni a garenzia di dodici mila scudi. Nel 1858, il Municipio di Palermo fu obbligato a mandarlo a Napoli, dove restò nel Museo di Capodimonte, finché, per opera principalmente del Ministro Minghetti, fu restituito alla città che l’aveva tenuto per oltre due secoli». Vedi anche IDEM, Breve guida del Museo Nazionale di Palermo, Palermo 1901, pp. 68-69. [↩]
- Il piviale sistino giunse al Museo Nazionale nel 1880 dal convento di S. Francesco di Palermo. E. D’AMICO DEL ROSSO, Sisto IV Della Rovere: un dono per Palermo, in Il Piviale di Sisto IV a Palermo. Studi e interventi conservativi, catalogo della mostra (Palermo, 23 ottobre 1998 – 10 gennaio 1999) a cura di V. Abbate – E. D’Amico – F. Pertegato, Palermo 1998, p. 15. [↩]
- Gli acquisti datano 1874, 1875, 1884, 1887-1888. [↩]
- Uno per tutti G. CHIESI, La Sicilia Illustrata, nella storia, nell’arte, nei paesi, Milano 1892, p. 683, che legge il motto inciso nel bordo di uno degli stemmi vicereali con le armi smaltate: Este ansi la fama y muera la vida. [↩]
- Cfr. S. AGATI, Il “Cicerone” per la Sicilia. Guida per la visita dei monumenti e dei luoghi pittoreschi della Sicilia, introduzione di E. Mauceri, Palermo 1907, p. 83. Agati ricorda che nella sala era esposto anche il parato dell’Opificio di fra’ Giacinto Donato (1674) proveniente dalla chiesa di S. Cita di Palermo. [↩]
- G.C. SCIOLLA, La riscoperta delle arti decorative in Italia nella prima metà del Novecento. Brevi considerazioni, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, atti del convegno internazionale di studi in onore di Maria Accascina (Palermo – Erice, 14-17 giugno 2006), a cura di M. C. Di Natale, Caltanissetta 2007, pp. 51-58. [↩]
- M. ACCASCINA, The Saddle of the Viceroy of Sicily, in “International Studio”, July 1931, pp. 42-43. L’articolo, tradotto in inglese dallo scrittore Ralph Roeder, è stato ritradotto adesso per la prima volta da Marina Di Gristina che ringrazio. [↩]
- Segnalo sullo stesso periodico M. ACCASCINA, Quattrocento Sicilian Goldsmiths – Part I, in “International Studio”, June 1930, pp. 36-39; EADEM, Quattrocento Sicilian Goldsmiths – Part II, in “International Studio”, July 1930, pp. 21-24. [↩]
- M.C. DI NATALE, I primi studi di oreficeria di Maria Accascina: la lezione di Adolfo Venturi, in Adolfo Venturi e la Storia dell’arte oggi, atti del convegno (Roma, 25-28 ottobre 2006), a cura di M. D’Onofrio, Modena 2008, pp. 329-342. [↩]
- M. ACCASCINA, L’ordinamento delle oreficerie del Museo Nazionale di Palermo, in “Bollettino d’Arte”, serie II, a. IX, n. V, novembre 1929, pp. 225-231; EADEM, Il riordinamento della Galleria del Museo Nazionale di Palermo, in “Bollettino d’Arte”, serie II, a. IX, n. IX, marzo 1930, pp. 385-400. Per l’argomento rinvio a V. ABBATE, Maria Accascina per il Museo di Palermo, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento…,2007, pp. 350-359. [↩]
- M. VITELLA, Il contributo di Maria Accascina alla riscoperta della produzione d’arte decorativa in Sicilia, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento…, 2007, pp. 147-154. [↩]
- Cfr. M. ACCASCINA, The Saddle of the Viceroy…, 1931, p. 42. [↩]
- M. ACCASCINA, The Saddle of the Viceroy…, 1931, p. 43. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Cfr. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, p. 171. [↩]
- Cfr. A. GRISERI, Oreficeria del Rinascimento, Novara 1986, p. 47. [↩]
- E. D’AMICO, scheda n. II, 25, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra (Trapani, 1 luglio-30 ottobre 1989) a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, pp. 197-201. [↩]
- Ibidem. Si vedano anche gli aggiornamenti E. D’AMICO, in Splendori di Sicilia…, 2001, scheda 33, pp. 375-377; EADEM, in Wunderkammer siciliana alle origini del museo perduto, catalogo della mostra (Palermo, 4 novembre 2001 – 31 marzo 2002) a cura di V. Abbate, Napoli 2001, scheda I.22a-b, pp. 115-116. [↩]
- Cfr. M.C. DI NATALE, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, p. 96. [↩]
- ACS, Dir. Gen. aa.bb.aa., Div. II, Busta 284, fasc. 152-102-12. [↩]